Antonio Fulvi
Cinquant'anni fa, mezzo secolo. E ditemi, se potete, che non vi fa impressione. Eppure me li ricordo bene gli esordi, con quella gente un pò matta e tanto appassionata che con gli strumenti di allora e con l'empirismo di allora si buttava sott'acqua alla conquista del sesto continente. Erano i tempi delle maschere sub a tutto viso, degli snorkel incorporati alla maschera e delle pinne corte della Pirelli, quelle che dopo mezz'ora davano i crampi assicurati, ma facevano tanto incursore. Certo, maturarono in fretta e quelli che hanno continuato -il ricambio era fisiologico, non tutti ce la facevano- me li sono ritrovati poi in cento circostanze, in tantissime venture di mare.
Erano tosti, quelli del Ci.Ca.Sub. livornese. E mi fece una certa
impressione, una ventina di anni dopo, sentime parlare con ammirazione
e affetto anche dai buseos di Cuba, che li avevano conosciuti chissà
dove. Di quei tempi ricordo che il Ci.Ca.Sub. era un riferimento e
un'istituzione già all'inizio degli anni 60, quando mi occupavo di
cronaca livornese e mi capitava ogni tanto il servizio di nera sui
dispersi in mare o il sinistro navale.
Me li ricordo in particolare in due occasioni, entrambe drammatiche: nel novembre del '66, quando l'alluvione nella valle dell'Arno spazzò via uomini e cose; e nell'autunno del '71 quando cadde in mare alla Meloria un C-130 inglese con un reparto di paracadutisti della Folgore e si trattò di scendere a 40 metri per recuperare le povere salme. Nel primo caso, per dare una mano nella valle dell'Arno assediata dalle acque e dal fango, partii anch'io con un gruppo del Ci.Ca.Sub guidato dal mitico Joghi, alias Cesare Giachini.
E mi accettarono non tanto perché fossi un bravo subacqueo -ero anzi un autodidatta assai poco professionale- ma perché faceva molto comodo il mio gommone Callegari, a quei tempi una rarità o quasi. Per due giorni cavammo gente viva ma distrutta dai tetti della campagna; e vacche morte e gonfie di marciume dalle stalle sommerse. Vidi lavorare Giachini e i suoi volontari con quello spirito e quella determinazione che potevano avere solo loro: "ridendo in facciacome dice una vecchia canzone dei sommergibilisti- a Manna Morte ed al destino". Ma con un'attenzione alla sicurezza, una cura maniacale delle cose proprie e un rispetto di quelle degli altri che non avrei mai più trovato in altre e anche piiù celebri operazioni.
Lavorammo, nel fango e nell'acqua putrida di carogne affogate, fianco a fianco con i paracadutisti incursori della Folgore, che avevano i loro anfibi da guerra e i loro specialisti subacquei: e ricordo con orgoglio che non facemmo affatto brutta figura, noi del Ci.Ca.Sub. e il mio povero Callegari di 4 metri. Rimorchiavamo vacche gonfie d'acqua a zampe in su, retate intere di polli putrefatti, ma anche bauli di povere cose che i contadini non volevano abbandonare, e armadi semisommersi, madie, qualche seggiola. La sera dormivamo nelle tende dei parà, con il loro rancio, mischiando il nostro al loro puzzo di sudore e di morte.
E al ritorno Cesare e i suoi sparirono tranquilli, senza cercare (né ricevere, a quel che ricordo) applausi e forse un grazie. Anche per il recupero di quei poveri ragazzi del C-130 fu lo stesso. Andarono, fecero quel che poterono e furono bravi. Ma sarebbe ingiusto se ricordassi del Ci.Ca.Sub "Guido Garibaldi" solo i fatti di tragedia e di morte. Grazie a Dio hanno saputo creare una generazione di subacquei attenti alla propria ed all'altrui vita, e anche di appassionati fruilori di quel mondo sommerso che é forse la parte migliore del nostro universo.
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